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Les Folies -érotique-
13 août 2009

© greta rossogeranio

 

Dogma

© Greta Rossogeranio

 

(Lettura adatta a un pubblico adulto)

 

 

La scrittura abita con me in un apparato un poco bizzarro.

Io e Lei.

La frase si ferma da sola.

Il racconto potrebbe finire qui.

Senza ghirlanda, né cerimoniale.

Annotato sul mio taccuino.

Punto.

 

Le vibrazioni salutari legate al ciclo della luna rossa rimangono il fertilizzante per eccellenza, quale catalizzatore di un istinto femminino percepito a cadenze periodiche.

Da questo prende forma la scenografia dei doppi.

Rimangono sempre in due: Lui e Lei.

Cerco di infilzare le emozioni in frammenti di parole sussurrate.

La punta della penna scorre…

 

…Lei sta camminando a grandi passi verso la chiesa di paese, mentre una bruma diafana si allontana alzandosi nel firmamento.

I capelli neri le scendono in disordine sulle spalle. I capezzoli dei seni sbocciano alteri e si annunciano sotto la stoffa gentile, quasi trasparente, di una consumata camicetta di seta beige.

 

La grigia caligine alleggerisce la sua oppressione.

 

Più accelera l’andatura, più si sente sciogliere nel proprio intrinseco, verso il luogo dove ogni significato e verdetto, si rivela solida definizione e fondamenta.

 

Guarda verso la scaletta dell’oratorio, con le orecchie tese d’istinto vicino la stanza di Don Lorenzo.

Il corpo sta vacillando, attento al minimo soffio ed al più stentoreo battito del cuore.

Eppure c’e’ un gran silenzio.

Il giardino di là della siepe sembra così remoto, senza echi né fragori delle risate dei bambini gioiosi che scorazzano al catechismo.

 

Davanti alla pieve incorre nell’affresco di San Francesco, che alza le braccia al cielo con lo sguardo rivolto verso l’alto.

 

La mistificazione del dogma l’ha dirottata lì.

Accelerazioni endogene condotte da fantasmi indecifrabili e sconosciuti.

 

La messa è finita e la chiesa è quasi deserta, mentre il rumore dei passi ed i bisbigli dei fedeli disseminati lungo la navata, si placano sommessamente.

Una luce fioca penetra le vetrate artistiche millefiori del soffitto e sparge molecole di colori lievi, variopinti e galleggianti. Il nulla che si fa luce.

Come una visione onirica, affusolata e sotterranea.

 

Don Lorenzo è seduto nel confessionale, impalato nei capillari sentimenti di trepidazione e schermatura.

 

Lei è l’ultima parrocchiana rimasta dentro il complesso, ed ha aspettato che gli osservanti se ne andassero, per scambiare due parole con Dio.

 

Per traslato, si è iniettata una piccola dose di scopolamina, per confessare tutto.

 

“Nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo”.

 

“Racconta Cara, quali sono le tue pene?”.

 

Si avverte dall’altra parte della grata, un’esalazione affannosa ed un respiro soffocato.

“Ho peccato, Padre”.

Un silenzio prolungato. Per riordinare i concetti e dare un assetto degno ed ordinato alle parole.

 

“Confidati pure senza timore”.

 

“Ho bisogno di una lente d’ingrandimento per contorcermi a dovere, in una scansione tomografica e intima che mi attanaglia. Sono sempre io la retta e la colpevole.”

 

“Spiegati meglio”.

 

“E’ come una salute che cresce e si espande, in un certo senso, simile alla marea.

Le onde sono oramai così alte, da prevedere un maremoto. Il vento accompagna i miei slanci perpetui e con uno sforzo impietoso cerco di allontanare la mia brama, dalle braccia e dalle gambe.

E’ una forza ignota e vuole portarmi via. Sono come una sirena sorpresa dalla risacca e vinta da una lucida e impenetrabile frenesia”.

 

“Non devi torturarti per queste controversie, Lui vede e ascolta”.

 

“Celebro il richiamo perché proprio la desolazione guarnisce chi è lacerato. E’ come rendermi conto della grandezza del Senso e stornarlo in mio favore, per mezzo di un desiderio nobile e legittimo che fissa in eccesso ed esubero, il mio pensiero e la condizione”.

 

“Non provare vergogna; ogni essere umano è affine alla follia delle conquiste e dei molteplici sbandamenti. Lui non usa mai epiteti offensivi, Lui perdona”.

 

“ Nello stagno addomesticato dei Sentimenti mi sveglio ogni notte senza respiro. Penso al suo ascendente e sono sempre in emergenza. Trabocco di energia accavallando le gambe e sfregandole in un certo modo. Non ho pace e mi rifugio occultandomi in quest’angolo basso e privato.

Il mio santuario coronato di ninnoli e dita fresche”.

 

“Mia Cara, non può esserci sessualità senz’anima, nelle ragioni del cuore le interazioni flessuose confidenziali, sono legittime e sacre”.

 

“Vede Padre, mi sento come un jolly impazzito in una scomposta partita a carte. Continuo a puntare il premio, ripromettendomi che è l’ultima volta. E non è mai così.

Mi sfioro leggermente lo spiraglio con la piuma leggera di pavone. Sprofondo l’indice curato con forza risoluta, con la sua fedina di serpente ad anelli concentrici.

Le mie mani inseguono la penna d’Oro e cacciano la cappella d’Angelo.

 

“Che posso fare per te, dimmi?”.

 

“Io mi moltiplico e prolifero da sola. Non c’e’ un solo posto e un modo per me.

Il mio nome è coniugato con l’ubiquità”.

 

“Devi essere più chiara, Donna, io sono un uomo semplice”.

 

“Ho continue fantasie, Padre. Vaniloqui. Contrazioni cloniche insostenibili”.

 

“Raccontami meglio, così comprendo”.

 

Il proponimento sta prendendo lucidità e coerenza, come un film che ritorna a scorrere dopo un guasto alla pellicola.

 

“Ecco Padre, mi vedo nuda sul letto.

Lui mi hai spiegato prima cosa vuole.

Mi ha imposto di mettermi in ginocchio con i gomiti ben piantati.

Gli occhi bendati ed a gambe aperte.

Vuole che mi eccito da sola sapendolo nascosto tra le pieghe delle tende, nella penombra.

Posso toccarmi, usare qualche gingillo, nutrirmi del mio stesso piacere.

Desidera che impazzisca, che gli implori di sorprendermi.

Ma non con le sue mani.

Vuol vedermi morire perché devo combattere con me stessa e con il prodotto che ho dentro.

Poi mi ordina di sfilarlo, millimetro per millimetro. Sento tutte le nervature, sta sopraggiungendo il delirio.

Gli parlo, scongiuro che sono la sua puttana, la sua prigioniera.

Vuol sentire i miei lemmi strozzati di piacere, tallona i miei vaneggiamenti.

Poi ordina di fermarmi.

Io devo continuare a sfregarmi per scoprirlo, per farlo uscire dal sipario e manipolarlo piano.

Sta guardandomi il viso ormai stravolto e vuole che lo supplichi.

Aspetta la mia disposizione travagliata per sprofondarmi dentro ed aprirmi come meglio crede, toccare il fondo, il midollo del mio corpo.

Mi sta facendo impazzire.

Io voglio andargli incontro, prendermi da sola quello che mi sta negando.

Sento il suo comando concitato a muovermi più in fretta, più vigorosamente.

Non ne posso più, voglio che mi prenda, mi trafigga sino a farmi male.

Padre, ho bisogno un aiuto”.

 

“Io non ho mai mancato alla mia vocazione”.

 

Non resisto e mi avvicino al letto, aspirando come un animale l’aroma poroso che trasuda dal tuo corpo.

Sfilo la tunica e mi chino su di te.

Comincio a baciarti delicatamente, attaccandomi ai bottoni pieni dei tuoi seni.

Ti aggrappi stremata, quando sento il tuo ventre connettersi con il mio membro eretto.

Stai per divampare allacciata ai nostri organi.

Non c’è nient’altro al mondo che può esistere, in questo momento.

Mi sposto di lato e raccolgo tra le dita il tuo sesso.

Poco a poco, lentamente.

I tuoi gemiti aumentano, si moltiplicano.

Le falangi sfregano la tumescenza e non riesco più a contenermi.

Ti giro adagio e divarico le cosce, abbracciandoti con forza.

Hai alzato i fianchi e trattieni l’impeto in scioltezza.

Salgo sopra di te e mi prendo il pene in mano, conducendolo piano piano tra le tue labbra frementi. Con delicatezza.

Voglio finire.

 

Senti l’organo entrarti dentro e con la bocca succosa gridi di piacere.

Un urlo che ha tutto d’umano e niente di triviale.

Inizi a muoverti dondolando avanti e indietro.

Con accento regolare.

Lentamente, poi sempre più forte, più veloce.

Vuoi questa delizia che ti arrivi fino al cuore, fino alla punta delle dita, fino al midollo dell’ossatura.

Sferro l’ultimo colpo possente e deciso, per purgare il nostro estatico dogma.

 

“Adesso siamo acquietati”.

“Sì, Padre”.

 

Si torna ai primordi della rivelazione.

 

“Io voglio essere un uomo ed un sacerdote”sussurra tenendo gli occhi socchiusi e giungendo le mani in preghiera.

 

Ricorda gli anni di seminario, il sacrificio dei tormenti della carne e la ricerca forsennata nelle viscere di qualsiasi materia viva, per dare sollievo alla smania dell’eccessivo calore.

I compagni s’incontravano in gran segreto nei bagni.

Ma lui no, scegliendo d’appartenere a coloro che soffrono e spasimano.

Come un tritone sbattuto in una barriera frangiflutti.

 

“ Nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo”.

 

Don Lorenzo esce dal tempio e una raffica di vento gli gela il volto e le mani.

Si passa la lingua sulle labbra e s’incammina lungo il marciapiede, con passo ambiguo ed incerto, come un convalescente che ha appena lasciato una casa di cura dopo una lunga infermità.

 

Lei si avvicina all’altare.

Accende un cero sull’imponente candelabro e sente il fuoco, ancora, oltrepassarle l’asse vertebrale.

S’inginocchia in fretta e stringe le gambe.

Il suo fluido sgorga ad ondate lente, come una sirena che ha di nuovo riguadagnato il mare aperto.

 

Assolta e libera…

 

Voglio sempre scrivere un racconto che s’ingarbuglia da solo, ingombrante nella sua fondatezza verso la direzione assurda di uno spirito libero e di una parola indicibile che spesso cade, con tutto il suo peso e la sua consistenza.

Come la mia penna, in questo istante.

Senza una particolare vocazione.

Come un’esegeta che soverchia l’inerranza.

Io e la mia storia.

 

Il racconto finisce qui.

Punto.

 

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